La Recensione Di
Return to Monkey Island

Dopo quasi 31 anni, ritorna Monkey Island così come concepito inizialmente dal suo creatore.. Degna conclusione della saga o cocente delusione?


Pro


Colonna sonora e doppiaggio sempre eccellenti Stile grafico innovativo e ben fatto Gameplay variegato e mai frustrante Durata superiore alla media degli altri titoli della saga Nostalgico ma moderno allo stesso tempo

Contro


Alcuni anacronismi non spiegati Adatto quasi esclusivamente ai fan di vecchia data
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Ritorno a sorpresa

Era il 4 Aprile 2022. Nessuno, e dico nessuno, si sarebbe mai aspettato un annuncio del genere. Sul suo blog, Ron Gilbert, in arte Grumpy Gamer, ha scherzato ogni anno il giorno del primo Aprile, prendendosi un po' gioco di tutti i fan della serie di Monkey Island che per decenni lo hanno implorato di portarla avanti e di dare una spiegazione e un seguito al controverso finale di Monkey Island 2 del 1991 (vedi la mia recensione per ulteriori dettagli). Quest'anno non avrebbe dovuto essere diverso dagli altri, se non per il fatto che Gilbert è sembrato fin troppo serio, fino alla conferma che effettivamente, dal 2020 stavano preparando il prossimo capitolo della saga di Monkey Island. Due anni di totale silenzio per preparare a dovere la sorpresa che in tanti attendevano con trepidazione, visto che per molti appassionati, i “canonici” capitoli usciti a partire da The Curse of Monkey Island del 1997, non hanno rappresentato una vera e propria prosecuzione della storica saga, ma solo uno spin-off, un universo parallelo che poco aveva a che fare con la trama e la consistenza dei primi due indimenticabili episodi.

Contemporaneamente all'annuncio, è uscito il primo trailer (quello inserito in questa recensione) e le prime informazioni, che poi nei mesi successivi sono state approfondite ulteriormente: il gioco sarebbe stato sviluppato dalla Terrible Toybox di Gilbert stesso (che veniva dal buon successo di Thimbleweed Park, un'avventura grafica in puro stile pixel art molto apprezzata dai fan), distribuito dalla Devolver Digital (Hotline Miami, Luftrausers, Gods Will Be Watching, Dropsy, Broforce, Enter the Gungeon ecc…) con la co-produzione niente di meno che di Lucasfilm Games. Sono stati quindi sciolti i dubbi che attanagliavano molti utenti sul fatto che Disney, ormai in possesso dei diritti di LucasArts, non avrebbe mai dato il via libera alla produzione di un nuovo capitolo.

Il team di sviluppo ha visto lo stesso Gilbert affiancato dallo storico compagno di avventure Dave Grossman, e da un'altra figura mitologica, il capo sviluppatore David B. Fox, insieme al trio delle meraviglie sonore composto da Michael Land, Clint Bajakian e Peter McConnell. È presente inoltre l'altrettanto storica squadra di doppiatori, tranne per Earl Boen che, ormai arrivato a veneranda età, ha lasciato la voce di LeChuck a Jess Harnell (doppiatore di tantissime serie TV, film e videogiochi) e l'introduzione di Rex Crowle come grafico (Little Big Planet è stato uno dei suoi migliori lavori).

Questa scena devo averla vista da qualche parte…

Dove eravamo rimasti?

Da questo punto in poi, avviso il lettore che ci saranno delle parti spoiler, quindi l'invito è di giocare almeno la prima parte e poi proseguire nella lettura.
Ron Gilbert ha più volte detto, nel corso degli anni, che se mai avesse creato un nuovo capitolo di Monkey Island, avrebbe ripreso la trama da dove l'aveva conclusa, ovvero dal controverso finale del secondo episodio, nel parco dei divertimenti, con Guybrush e suo fratello Chuckie al seguito dei loro genitori. In effetti, l'autore ha mantenuto la parola data, e ha provveduto a fornire finalmente una spiegazione apparentemente plausibile a quello che sembrava un epilogo inspiegabile e fuori da ogni logica. Nonostante la formula adottata in questo caso, ovvero che fosse tutto un gioco architettato da quello che sembrava essere Guybrush, ma che si rivela essere suo figlio, insieme a Chuckie, non il fratello, ma semplicemente un suo amico che fa finta di esserlo, possa funzionare, lascia spazio ad alcune piccole domande a cui non viene data risposta. Ad esempio: perché alla fine di Monkey Island 2 i due signori del parco divertimenti si atteggiano a veri genitori dei due ragazzini, mentre in questo caso è palese che i due siano del tutto estranei alla situazione e risultino anche infastiditi dalla cosa? Quindi cos'era fittizio, solo il finale, o tutta la storia di Big Whoop? E nel primo caso, dov'è finito realmente Guybrush (con il tesoro) se il tunnel sotterraneo di Dinky Island e la lotta con LeChuck era tutto nell'immaginazione di un bambino? Tutto sommato vedremo, nel corso del gioco, che non è così importante, e che la narrazione, così come ci viene presentata, riempie abbondantemente quelli che sembrano essere dei grossolani buchi di trama.

Possiamo anche dire che Ron Gilbert ha voluto preservare alcuni elementi dei capitoli “canonici” usciti dopo la sua dipartita da LucasArts, talvolta però non spiegando come sia possibile che ci siano personaggi come Murray (presentato la prima volta in The Curse of Monkey Island), in un episodio che racconta una storia “alternativa” a quella portata avanti negli anni '90 dai suoi ex colleghi di software house.

I vecchi capi dei pirati apriranno una pescheria!

La spasmodica ricerca del Segreto

Da qui in poi, la storia di questo capitolo è completamente incentrata sulla ricerca dell'ambitissimo “Segreto di Monkey Island”. Guybrush lo farà attraverso il racconto al figlio che vediamo nella prima parte del gioco (da questo già possiamo capire che potrebbe non esserci niente di reale), a partire dal suo ritorno su Meleè Island per la ricerca di fondi, di un equipaggio, e di una nave che possa riportarlo sull'Isola delle Scimmie ancora una volta. Suo malgrado, scoprirà che ci sono importanti novità, come la sostituzione dei vecchi capi dei pirati con tre nuove losche figure, e dell'attracco della nave di LeChuck al molo dell'isola, che sembra avere la stessa idea di partire alla volta di Monkey Island per scoprire cosa si cela dietro a questo segreto. Ritrovando alcune vecchie conoscenze, come Wally, Elaine (che sta combattendo il dilagare dello scorbuto vendendo lime alle navi dell'arcipelago), la Voodoo Lady, Carla, Otis, Stan (in prigione per crimini legati al marketing) ed altri, Guybrush dovrà quindi trovare i mezzi per salpare, e stavolta lo farà in modo molto rocambolesco, lavorando come mozzo sulla nave del suo acerrimo nemico. Arriverà quindi a Monkey Island, dove scoprirà che il segreto è sempre stato nascosto su Meleè Island, e conservato tramite un accordo inviolabile, in una cassaforte nel negozio di articoli vudù della Voodoo Lady. La quarta parte del gioco, la più lunga, ci vedrà alla ricerca delle 5 chiavi che aprono la cassaforte dove è conservato il Segreto di Monkey Island, ritrovando la formula del viaggio tra le isole, che stavolta saranno Scurvy Island (dove Elaine coltiva alberi di lime), Terror Island (dove ritroviamo il naufrago Herman Toothrot), Barebones Island (un piccolissimo atollo dove si trova il commercialista di Stan) e le Brrr Muda (luogo dove si trovano un tribunale e una prigione), oltre che l'Isola di Meleè. Dopo aver trovato tutte le chiavi, scopriremo che il segreto è rivelabile solo sull'Isola delle Scimmie, per la quale salperemo un'ultima, epica volta.
Non rivelerò il finale del gioco, perché ritengo che sia talmente importante da dover lasciare ad ognuno di voi il piacere (o la delusione) di scoprirlo da soli.

Stan in prigione per “crimini legati al marketing”, Otis invece per… Beh, come al solito!

Il pregiudizio e la redenzione

Dal punto di vista tecnico, è obbligatorio spendere alcune parole sul comparto grafico. Nei mesi precedenti all'uscita del gioco, si è fatto un gran parlare del nuovo stile che avrebbe caratterizzato questo nuovo capitolo, da molti comparato ai giochi sviluppati in flash negli anni ‘90, e quindi della sua regressione rispetto al lavoro fatto con Tales of Monkey Island o con le due Special Edition del 2009 e 2010. Lo stile cartoonoso e caricaturale dei personaggi ha fatto storcere il naso a tantissimi utenti, creando una “shitstorm” che ha portato anche ad insulti agli stessi sviluppatori e ad un conseguente silenzio stampa di Ron Gilbert per alcuni giorni come forma di protesta. Quello che poi è successo, è che all’uscita del gioco, e quindi dopo averlo potuto realmente giocare, molti di questi utenti scontenti si sono ricreduti, apprezzando la grafica e le animazioni molto di più rispetto alle immagini e ai trailer usciti in estate, confermando il buon lavoro di Rex Crowle e del suo team, che ha curato nei dettagli le ambientazioni e le espressioni di tutti i personaggi. Resta comunque uno stile dai pareri contrastanti, ma questa storia ci insegna a non avere mai pregiudizi, che potrebbero poi risultare infondati.

Doppiaggio e colonna sonora restano i capisaldi di questa serie, che non accenna ad abbassare la qualità delle musiche e delle voci, eccellenti da tutti i punti di vista, tramite il sapiente utilizzo del sistema iMuse, innovato e migliorato, per la fluidità e la transizione dei suoni tra un ambiente e un altro.
Il gameplay vuole strizzare l'occhio ai nostalgici, portando comunque una ventata di freschezza. Ritroviamo ancora il mai obsoleto sistema punta e clicca, ma con uno stile a metà fra quello di The Curse of Monkey Island e quello di Tales of Monkey Island, senza la presenza di parole chiave, ma con l'utilizzo del click destro e sinistro del mouse per le azioni principali, e di qualche scorciatoia da tastiera per l'apertura dell'inventario, della mappa, degli obiettivi, e l'evidenziazione delle risorse interagibili nell'area di gioco.
Interessante l'introduzione del sistema di indizi (collaudato con successo già in Thimbleweed Park), che può aiutare il meno esperto a districarsi nella risoluzione degli enigmi, del libro dei quiz (soprattutto per i collezionisti di achievement e per migliorare la longevità del gioco) e piacevolissima e divertentissima la variazione delle frasi associate ad ogni azione possibile, che cambia anche cliccando più volte sullo stesso oggetto.

In generale, il gioco risulta semplice, con enigmi che possono essere facilmente risolvibili tramite ragionamenti logico-deduttivi, associazione di idee, valutazione dei rapporti causa-effetto e un pizzico di pensiero laterale. Niente che un buon giocatore di avventure grafiche non possa trovare assolutamente normale e routinario. Non ci sono puzzle frustranti o zone bloccanti, il gioco scorre piacevolmente, anche perché ci sono molte cose da fare, anche contemporaneamente, quindi si ha modo di risolvere alcuni enigmi mentre si pensa a come risolverne altri, garantendo fluidità e scorrevolezza al titolo.

Guybrush ed Elaine nuovamente di fronte alla testa di scimmia su Monkey Island

That's all…. Folks!

Molti si sono chiesti se questo potesse rappresentare davvero l'epilogo della saga di Guybrush e soci, ed effettivamente, più di una volta il creatore di Monkey Island ha rivelato che la scoperta del Segreto di Monkey Island avrebbe anche garantito la chiusura del cerchio e la fine di una storia durata ben 32 anni. Tuttavia, senza voler entrare nel merito del finale di questo sesto capitolo (o potremmo dire anche terzo-bis), sembra che ci sia uno spiraglio ancora aperto per un possibile altro capitolo (o magari una serie di giochi), anche se la storia del “Segreto di Monkey Island” sembra essere effettivamente chiusa del tutto.
Possiamo quindi tirare le somme su questo attesissimo Return to Monkey Island: ciò che possiamo sicuramente dire è che questo titolo, nei prossimi mesi, dividerà letteralmente la platea, schierando da una parte coloro che lo hanno amato alla follia, apprezzandone la storia, lo stile e la spiegazione data all'inizio e alla fine del gioco, e dall'altra tutti quelli che sono rimasti profondamente delusi perché si aspettavano qualcosa di completamente diverso, a partire dalla grafica, fino al senso che Gilbert ha voluto rappresentare a conclusione di un quesito che affonda le radici nel cuore di una saga pluridecennale.

Non posso parlare per tutti, ma chi mi conosce sa che sono un grande appassionato di Monkey Island, e personalmente questo capitolo ha rappresentato per me un capolavoro, una perla costruita in maniera impeccabile (tranne la gestione del personaggio di Herman Toothrot, che avrei voluto completamente diversa) da tutti i punti di vista, e che per me ha rappresentato un punto finale e una conclusione degna e anche doverosa, di un cerchio iniziato nel lontano 1990, quando un timido ragazzino pixelloso in camicia bianca approcciava una sentinella davanti ad un falò, dicendogli “Salve, sono Guybrush Threepwood, e voglio diventare un pirata!”.

I protagonisti della saga, nel poster della loro ultima epica avventura

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