Ascoltate la puntata del nostro podcast dedicata alla saga di Monkey Island!
Squadra che vince non si cambia…
…Una delle famose citazioni del compianto allenatore di calcio Vujadin Boškov. Proprio questo è avvenuto nel 1991, quando ad un solo anno di distanza dall'uscita del primo capitolo, arriva il sequel della saga caraibica più irriverente della storia videoludica, ovvero Monkey Island 2: LeChuck's Revenge.
Lo sviluppo di Monkey Island 2 comincia proprio al termine del primo episodio, segno indelebile che le idee non mancavano, e che c'era la voglia forte di proporre una saga da parte di LucasArts (ex LucasFilm Games). Il team rimane più o meno lo stesso di The Secret of Monkey Island, con Ron Gilbert al timone della nave della divisione gaming di George Lucas, gli sviluppatori Tim Schafer e Dave Grossman (con quest'ultimo brevemente impegnato nello sviluppo di The Dig, altra memorabile avventura di LucasArts), i disegnatori Steve Purcell, Sean Turner e Peter Chan (quest'ultimo disegnatore e animatore freelance che ha collaborato negli anni alla creazione di altre avventure grafiche e in tempi recenti anche film di animazione), ma soprattutto i compositori Michael Land e Peter McConnell.
Soprattutto, perchè la vera grande novità di questo capitolo sarà il comparto musicale, ampiamente migliorato con un nuovo engine che sarà di ispirazione a tutti i videogiochi che verranno da questo momento in avanti, per la sua innovazione.
Ron Gilbert sosterrà, per Monkey Island 2: LeChuck's Revenge, di essersi liberamente ispirato al libro “On Stranger Tides” (Mari Stregati in Italia) di Tim Powers, e come vedremo a breve, si porrà come obiettivo rispetto a The Secret of Monkey Island maggiore complessità e lunghezza, mantenendo però l'inconfondibile stile umoristico che contraddistingue l'intera saga.
Proprio come il primo titolo, anche questo sarà un enorme successo di critica, ma un fallimento dal punto di vista commerciale, venendo elevato a titolo “classico” solo con la riscoperta delle avventure grafiche nel nuovo millennio.
Una mappa per ghermirli, e nel buio incatenarli
Protagonista del gioco è sempre il nostro Guybrush Threepwood, arrivato sull'Isola di Scabb per raccontare l'incredibile storia di come abbia sconfitto il pirata fantasma LeChuck, ma stavolta il suo obiettivo è il famigerato tesoro di Big Whoop. Su Scabb, il pirata ed ex braccio destro di LeChuck, Largo LaGrande, ha imposto un embargo, impedendo a chiunque di scappare dall'isola. Guybrush, con l'aiuto della Lady Voodoo, costruirà quindi una bambola vudù per spaventare Largo e togliere l'embargo dall'isola, non prima però di aver incautamente mostrato la barba di LeChuck ed essersela fatta rubare da sotto il naso dallo stesso Largo. Una delle novità del gioco è quindi rappresentata dalla scelta del luogo verso cui navigare: Guybrush potrà scegliere se tornare a Scabb Island, oppure navigare fino a Phatt Island (un'isola sotto il controllo di un despota grasso e spocchioso) o Booty Island (governata dall'amore della vita di Guybrush, Elaine Marley). In questa parte di storia, il nostro fallibile eroe deve trovare i 4 pezzi della mappa che conduce al tesoro di Big Whoop, ognuno nascosto sagacemente da coloro che per primi lo hanno trovato e, terrorizzati dal suo enorme potere, lo hanno sepolto, ovvero: Young Lindy (il mozzo), Rapp Scallion (il cuoco), Rum Rogers Sr. (il primo ufficiale) e il capitano Horatio Torquemada Marley (nonno di Elaine). Trovati i pezzi della mappa, Guybrush raggiungerà prima la fortezza di LeChuck, e poi l'isola di Dinky, proprio dove dovrebbe essere sepolto il tesoro più famoso dei Caraibi. Trovata la locazione del tesoro (e anche Herman Toothrot, spostatosi su quest'isola per insegnare filosofia), Guybrush scava e trova il forziere, ricollegandosi alla prima scena, dove è appeso con una corda mentre racconta ad Elaine tutta la storia. Caduto nel sotterraneo, dove lo sta aspettando LeChuck, il nostro protagonista riesce a sconfiggerlo di nuovo improvvisando una bambola vudù con i materiali che trova nelle stanze di suddetto sotterraneo.
Il “cliffhanger” mai spiegato
Capita spesso, soprattutto nei film, che un plot twist o una serie di complicazioni porti ad un finale controverso, spesso apparentemente inspiegabile, inducendo lo spettatore a cercare di trovare un senso. A volte la spiegazione non sembra esserci: magari è proprio la mancanza di una logica ferrea a dettare lo stupore. Si può quindi ipotizzare che il fine ultimo dello sceneggiatore fosse proprio l'insensatezza. O magari non si è stati capaci di produrre un finale che potesse spiegare gli avvenimenti precedenti. Oppure ancora la storia si conclude con un colpo di scena che sarà, successivamente, spiegato con un nuovo capitolo della saga. Il finale del gioco resta sospeso su un quesito narrativo molto curioso: tutto quel che è successo a Guybrush è stato solo un sogno? Oppure una maledizione voluta dal temibile LeChuck?
Anche senza troppi spoiler, possiamo dire che, secondo Ron Gilbert, la saga avrebbe dovuto continuare in un determinato modo, anche se poi, come vedremo, le cose non sono andate esattamente così. Il successivo capitolo, The Curse of Monkey Island, avrà uno sviluppo completamente diverso rispetto al concept originale proprio a causa della dipartita di Gilbert dalla LucasArts avvenuta dopo l'uscita del secondo episodio. Anche se questo capitolo sposerà la seconda ipotesi, in alcune interviste proprio Ron Gilbert affermerà che se la Disney rilascerà i diritti della serie di Monkey Island, sarà pronto a continuare la sua saga e a creare un Monkey Island 3 alternativo a quello rilasciato nel 1997, dove il finale controverso di LeChuck's Revenge troverà – forse – la spiegazione che l'autore originariamente voleva dargli.
Una tecnica sopraffina
Monkey Island 2: LeChuck's Revenge presenta nuovamente la grafica in pixel art che contraddistingueva anche il primo capitolo, migliorandola sensibilmente e aggiungendo qualche novità nelle animazioni (si veda ad esempio la scena dello sputo di Largo LaGrande all'inizio del gioco). Non a caso, a differenza di The Secret of Monkey Island, ne fu prodotta solo una versione VGA a 256 colori.
Grazie al motore Scumm, il gameplay continua ad essere fluido e di rapida fruibilità, con la solita combinazione di parole e inventario nella barra sottostante. È evidente l'impegno messo dai ragazzi di LucasArts nella creazione degli enigmi, stavolta ancora più ingegnosi ma mai frustranti (tranne il caso della “monkey wrench”, ovvero l'utilizzo di una scimmia come chiave inglese per la chiusura della valvola della cascata su Booty Island, che ha avuto molta risonanza nel mondo delle avventure grafiche), che spaziano dalla combinazione di oggetti alla necessità di fornire determinate risposte nei dialoghi, passando per la ripetizione di alcune azioni fino all'ottenimento del risultato sperato (come quando ci si deve liberare dalle catene nella fortezza di LeChuck). L'esperienza di gioco risulta quindi assolutamente piacevole, e difficilmente ci si ritroverà incastrati, proprio grazie all'intuitività della risoluzione dei problemi che Guybrush si troverà ad affrontare.
La vera novità di questo capitolo è il comparto sonoro. Michael Land e Peter McConnell si superano ancora, inventando e creando l'iMUSE (Interactive MUsic Streaming Engine), un motore capace di rendere fluide e senza soluzione di continuità tutte le musiche, alle quali si aggiunge o si toglie uno strumento ogni volta che si esce o si entra in un ambiente di gioco. Emblematico è l'esempio di Woodtick, la prima cittadina in cui Guybrush si imbatterà su Scabb Island. L'iMUSE viene ideato sulla base della frustrazione provata da Michael Land durante la realizzazione della colonna sonora di The Secret of Monkey Island, e il progetto è così complesso, risultando così ben fatto e così immersivo, che sarà di ispirazione a moltissime avventure grafiche (e non solo) che verranno negli anni.
Infine, è opportuno ricordare che nel 2009, il titolo ha avuto una sua riedizione con grafica migliorata e doppiaggio completo, così come avvenuto per il primo capitolo. Acquistando tale edizione, non solo si può godere di un 2D in alta risoluzione, di animazioni migliorate e di personaggi parlanti, ma con la pressione di un tasto, è possibile tornare alla grafica originale del 1991.
Quality meets perfection
The Secret of Monkey Island diede inizio nel 1990 ad una delle saghe più divertenti che il mondo videoludico abbia mai conosciuto, innovando il genere delle avventure grafiche punta-e-clicca. Nel 1991, con Monkey Island 2: LeChuck's Revenge, il genere raggiunse il picco più alto, attraverso un'esplosiva combinazione di innovazione tecnologica, creatività nella realizzazione del gameplay e nella risoluzione degli enigmi, con il solito e immancabile umorismo e la perfetta caratterizzazione dei personaggi, ognuno con le sue peculiarità e movenze. Il giocatore non solo si divertirà, ma non potrà non affezionarsi ai personaggi, anche e soprattutto a quelli secondari (molti di questi avrebbero meritato una continuità nei successivi capitoli), che non fanno solamente da “contorno” alla storia principale, ma si amalgamano perfettamente e contribuiscono attivamente alla trama del gioco. Le ambientazioni risultano molto più variegate rispetto al primo capitolo e di eccellente manifattura stilistica, trasportandoci quasi fisicamente in quelle meravigliose isole caraibiche dove, con un pugno di pixels, si riescono a creare il movimento dell'acqua o un sistema di illuminazione estremamente realistico nonostante siamo ancora agli albori della realizzazione e dell'avanzamento tecnico grafico e artistico.
In conclusione, Monkey Island 2: LeChuck's Revenge è un titolo che raggiunge la perfezione da molti punti di vista, e che risulta imprescindibile per qualsiasi videogiocatore che voglia definirsi tale, risultato di una maturazione e dedizione stacanovista di tutto il team di LucasArts, che con sinergia e unione di intenti, ha creato un gioco entrato nella leggenda. Un punto di riferimento per chiunque, oggi, senta la necessità di realizzare una sua avventura grafica e per tutti coloro che la giocheranno.
Si ringrazia Damiano Gerli del blog e podcast “The Genesis Temple” per la cortese revisione di questa recensione.