La Recensione Di
Escape from Monkey Island

Benvenuti nei Caraibi... Stavolta in tre dimensioni! Come se la sarà cavata questa volta Guybrush? Il passaggio al 3D sarà stato indolore?

Data di Uscita
  • 01 novembre 2000
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Sviluppato Da
Piattaforme
Giocato Su
Generi

Pro


Umorismo sempre ad alti livelli Ottima caratterizzazione dei personaggi Musiche e doppiaggio all'altezza

Contro


Sistema di controllo pessimo Grafica 3D invecchiata male Monkey.... Kombat???
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Genesi di un disastro

Fuga da Monkey Island, fin dall'inizio, sembrava non essere voluto veramente da nessuno. Lì dove un capitolo come La Maledizione era stato portato avanti con convinzione da due persone che avevano già avuto a che fare con la saga, Jonathan Ackley e Larry Ahern, la genesi di Fuga sembra riguardare una semplice strategia commerciale. Sean Clarke e Michael Stemmle furono infatti incaricati dai dirigenti Lucasarts di consegnare un altro seguito, quella che diventerà poi l'ultima avventura punta e clicca pubblicata dalla software house di George Lucas. In realtà non è neanche punta e clicca, ma insomma. I due avevano già lavorato su Sam & Max Hit the Road, e i temi trattati da Escape sembravano facilmente sovrapponibili a quelli dell'avventura del 1993: sarcasmo spinto nei confronti del capitalismo, tendenza alla rottura della quarta parete e una certa autoreferenzialità. In realtà, i due erano ben coscienti che stavano lavorando su quello che sarebbe finito come l'ennesimo prodotto commerciale del buio periodo della Lucasarts, non certo una “love letter” alla saga. In questo, la sceneggiatura di Fuga sembra toccare i punti giusti.

Naturalmente, nessuno alla Lucasarts - ben conscio che le avventure erano ormai genere moribondo - aveva intenzione d'investire più del necessario in questo quarto capitolo, si decise così di utilizzare una versione leggermente rimodernata del motore grafico che aveva già mosso Grim Fandango. Vengono apportate delle modifiche, generalmente utili, quale quella di visualizzare una scritta a fondo schermo che chiarisce quale oggetti stiamo utilizzando, ma in generale è difficile affermare che il 3D di Fuga fosse all'ultimo grido. Pubblicata a Novembre 2000, Escape from Monkey Island finirà con l'essere, oltre che l'ultima avventura della Lucasarts (in seguito alla futura cancellazione dei due progetti su Full Throttle e Sam & Max), anche sicuramente quella meno apprezzata dal pubblico. Anzi, tanti fan non hanno remore nel definirla come la peggiore sviluppata dallo studio.

In Italia, il gioco sarà recepito in maniera abbastanza tiepida, ma comunque con voti generalmente discreti da parte dalla critica. E a proposito di “ultime volte”, Fuga da Monkey Island sarà anche l'ultimo capitolo doppiato dalla C.T.O. (o meglio, dallo Studio Florian di Bologna). Ci sarà però un importante cambio nel cast: Guybrush è doppiato da Massimo Antonio Rossi, che donerà la voce anche al cattivo Ozzie Mandrill. In questo, molte furono le discussioni all'epoca sui motivi dietro alla sostituzione dell'originale doppiatore di Guybrush in Maledizione, Giuseppe Calvetti, ma lo stesso Rossi rivela che non ci fu alcun mistero né complotto. Semplicemente, la Lucasarts richiese nuovi provini per la voce e finì con lo scegliere proprio quello dell'attore bolognese, non fu una scelta dell'azienda italiana in questo senso. Il doppiaggio, comunque, resta di buona fattura, con una traduzione decisamente più professionale delle altre, frutto della buona esperienza che la C.T.O. aveva accumulato fin dall'inizio degli anni novanta.

Lo Scumm Bar, il luogo di perdizione dei pirati di Meleè Island!

Trama geniale o brodo primordiale?

Finalmente Guybrush è riuscito a conquistare il cuore di Elaine, e come abbiamo potuto vedere alla fine di The Curse of Monkey Island, i due neo-sposini sono partiti per la luna di miele. Al loro ritorno, dopo aver affrontato una ciurma di aggressivi pirati, scoprono che Elaine è stata data per morta e che la loro casa sta per essere abbattuta. Nel frattempo, due notizie sconvolgono ulteriormente le vite di Guybrush ed Elaine: c'è un nuovo candidato a governatore di Meleè Island, ovvero Charles L. Charles, e un imprenditore australiano di nome Ozzie Mandrill sta tentando di comprare e conquistare tutte le isole, per potervi costruire degli alberghi e dei resort per turisti, snaturando la loro indole piratesca ormai consolidata nel tempo. Mentre scopriremo che Charles L. Charles non è chi dice di essere, capiremo che Ozzie Mandrill è alla ricerca dei componenti di un artefatto voodoo molto potente, l'Insulto Supremo, in grado di annientare lo spirito di ogni pirata che possa frapporsi tra lui e il suo obiettivo finale, così da non avere ostacoli per la conquista dell'intero arcipelago e la creazione del suo impero economico. Guybrush ed Elaine si divideranno: Elaine sfiderà Charles L. Charles per tornare ad essere governatrice dell'Isola di Meleè, mentre Guybrush si occuperà di recuperare per primo i componenti dell'Insulto Supremo, affinché questo possa fermare Ozzie Mandrill dall'imporre la sua dittatura. Nel mentre, ritroveremo il naufrago Herman Toothrot, scoprendo che è molto più di chi dice di essere (a causa di una forte amnesia) e ha un misterioso legame con l'ex governatrice di Meleè Island

La trama di Escape from Monkey Island si discosta da quella dei precedenti capitoli (soprattutto perché Guybrush è finalmente riuscito a sposare Elaine e l'ennesima resurrezione di LeChuck è stata sconfitta) e fa un passo ulteriore: introdurre un nuovo villain, sperando che esso potesse dare nuova linfa e vitalità ad un franchise che sembrava aver detto tutto ciò che poteva. Ha funzionato? Sembra che l'idea di far passare LeChuck in secondo piano (diventerà a tutti gli effetti, fino alla fine, il lacchè di Ozzie Mandrill) non abbia dato la resa che gli sviluppatori speravano, tanto che ad oggi, con Tales of Monkey Island e l'imminente arrivo di Return to Monkey Island, non sembra ci siano piani per un ritorno di Mandrill, limitato quindi a un singolo capitolo della saga. Una serie di sotto-trame di contorno sembrano voler arricchire la storia centrale, che affanna nel catturare l'attenzione del giocatore, ma alla fine, ricorderemo probabilmente solo il plot twist su Herman Toothrot

Guybrush alle prese con gli avvocati del nonno di Elaine su Lucre Island

Il salto della fede nelle tre dimensioni

Il 2000 è un anno particolare: si colloca a metà fra la comparsa del primo 3D e il consolidamento di alcuni tra i migliori engine grafici di sempre (tra cui l'Unreal Engine). Possiamo tollerare i primi giochi in tre dimensioni, capendone il valore storico e l'inevitabile obsolescenza, e contemporaneamente apprezzare i videogiochi che presentano uno stile grafico ben caratterizzato tra la fine degli anni 2000 e i 2010. Allo stesso tempo, difficile non rendersi conto di quanto il comparto grafico di questo gioco sia invecchiato malino, nonostante nella stessa epoca ci fossero titoli francamente più brutti. I fondali, con uno stile molto caricaturale, reggono bene gli anni che passano e sono ancora piacevoli da vedere, tuttavia la spigolosità di alcune texture oggi risultano difficili da apprezzare. Questo perché il GrimE Engine è privo anche solo di un misero antialiasing che possa arrotondare le spigolosità dei poligoni di cui strutture e personaggi sono costituiti. La scelta di effettuare il passaggio alla terza dimensione è stata molto coraggiosa (pur se inevitabile), specialmente perché la combinazione avventura grafica + 3D, molto raramente ha prodotto risultati confortanti, per lo meno fino a quel momento. Quindi apprezzabile lo sforzo, ma un po' deludente il risultato finale.

Di fattura notevolmente migliore il comparto sonoro, che vanta ancora la collaborazione di Michael Land, Clint Bajakian e Peter McConnell, il trio che abbiamo trovato anche nei capitoli storici, e che non delude nemmeno stavolta. Ottima la soundtrack, che arricchisce il tema principale con alcuni nuovi strumenti, e inserisce nuove inedite tracce che accompagnano il giocatore nel suo viaggio attraverso le isole caraibiche. Per quanto riguarda il doppiaggio della versione internazionale, ritroviamo con piacere Dominic Armato come voce di Guybrush Threepwood, Earl Boen per LeChuck e Leilani Jones Wilmore per la Voodoo Lady. Non presente questa volta Alexandra Boyd, voce storica di Elaine Marley… Al suo posto Charity James, la quale esclude un po' di quell'accento tipico che caratterizzava il parlato dell'ex governatore di Meleè Island. Il voice acting si conferma dunque di notevole pregio e aiuta a caratterizzare i personaggi, già notevolmente contraddistinti dalla sceneggiatura e dal loro ruolo all'interno del titolo.

Questa volta Stan si sarà riciclato come venditore di immobili sull'isola di Jambalaya

Avrei preferito guidare un carro armato vero…

Parliamo del tasto dolente di Escape from Monkey Island: i controlli. Se c'è una cosa che abbiamo imparato, giocatori e sviluppatori, è che avventure grafiche e tank controls non vanno assolutamente d'accordo. Ma cosa sono i tank controls? Letteralmente “comandi da carro armato”, nei vecchi giochi di guerra, il comando “avanti” muoveva il carro armato verso la direzione puntata, a prescindere da quale essa fosse, e la direzione poteva essere scelta “ruotando" il carro armato stesso utilizzando “sinistra” e “destra”. Esattamente così muoviamo il nostro protagonista, non importa come sia posizionata la telecamera (frontalmente, lateralmente o dietro le spalle di Guybrush), il personaggio si muoverà sempre nella direzione del suo sguardo. Oltretutto, all'interno di un ambiente in tre dimensioni dove non sempre le strade saranno ben delineate o i confini delle zone ben marcati questo provoca alcune involontarie traiettorie errate, costringendoci a riposizionare il personaggio per andare nella direzione da noi desiderata. Ciò accade per esempio nella mappa di Jambalaya Island, dove per raggiungere la spiaggia dalla zona di Stan, dobbiamo passare un piccolo tratto di strada stretto, che nel 90% dei casi verrà completamente mancato dal personaggio il quale con una sterzata di 180° tornerà indietro sui suoi passi, costringendoci a fermarci e ripetere l'operazione. Inoltre, la mancanza del puntamento tramite mouse ci costringerà ad avvicinarci a tutti i punti di interesse per poter utilizzare o esaminare gli oggetti e parlare con i personaggi, rallentando la nostra esplorazione e l'interazione con l'ambiente che ci circonda. Soprattutto questo è stato il motivo di tanta frustrazione e di giudizi lapidari nei confronti di questo capitolo della serie, caratteristica che ne pregiudica la giocabilità e la scorrevolezza. Considerando che, di per sé, un videogioco di avventura è generalmente improntato sulla lentezza e sulla riflessione, tutto ciò non giova affatto.

Infine, menzione di disonore, purtroppo, per quello che a tutti gli effetti è il minigioco sostituto della leggendaria gara ad insulti del primo e terzo capitolo, ovvero il Monkey Kombat. Come dicevo in una mia precedente recensione, “squadra che vince non si cambia”, ma a quanto pare non è questo il caso. Un accenno di gara ad insulti si ha all'inizio del gioco con Mr. Formaggio, ma poi su Monkey Island si è deciso di introdurre una nuova modalità di scontro tra Guybrush e le scimmie native dell'isola. Utilizzando una combinazione di “parole” selezionabili con le quattro frecce direzionali, possiamo assumere una posa particolare. Ognuna di esse ha un effetto positivo, negativo o neutrale nei confronti della posa assunta dall'avversario. Dovremo quindi letteralmente segnarci quali pose sconfiggono le altre, e quali sono le parole per passare da una all'altra. Un minigioco che risulta ben presto noioso e ripetitivo. Forse gli sviluppatori pensavano di dare freschezza al brand inserendo questo segmento, ma in realtà hanno solo appesantito e allungato il brodo senza garantire maggior intrattenimento o divertimento al giocatore.

Quanti brutti ricordi con quei sentieri così stretti…

È davvero un gioco così brutto?

La risposta è… Ni. Fuga da Monkey Island è senza dubbio un passo falso nella saga da parte di LucasArts, ma nel complesso non possiamo dire che sia un gioco brutto. Abbiamo notato la trama non indimenticabile, una grafica gradevole come ambientazioni, ma che non convince pienamente come quella dei personaggi e delle strutture interagibili, ma soprattutto un sistema di controlli terrificante e frustrante. E quindi, perché il quarto capitolo di Monkey Island potrebbe tutto sommato piacere? Perché conserva ancora lo spirito umoristico che ha sempre contraddistinto la saga, attraverso un sapiente doppiaggio e una colonna sonora all'altezza dei precedenti episodi, compensando parzialmente il buco lasciato da una giocabilità difficoltosa e da una storia un po' meno ispirata del solito. Siamo certi che per molti questo titolo potrebbe risultare difficile da considerare, ma Escape from Monkey Island è un passaggio dovuto e obbligato per risolvere alcuni importanti quesiti di questa appassionante epopea, lasciandoci con il sorriso a cui LucasArts ci ha sempre abituato.

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