La Recensione Di
Street Fighter II

Il maestro Segata Kénshiro ci parla di Street Fighter 2 in questa recensione che proprio una recensione non è.

Pro


Davvero devo scriverli?

Contro


Non sono più forte come un tempo, ma non è colpa del gioco. Son diventato scarso io.
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Bentornati al Dojo, miei giovani Pandavan!

Sedetevi tutti in cerchio intorno a me, che oggi sarò il vostro Sensei Papà Castoro e vi racconterò la storia di un titolo che ha cambiato la storia dei videogiochi. O meglio, la mia personale storia legata a quel titolo. Siamo nel mese dedicato a Capcom e per noi discepoli della Sacra Scuola Kalinske IL gioco di questa software house è solo uno: nostra signora dei giochi di sberloni Street Fighter 2!

 

 

Su questo titolo, che de facto ha definito il genere dei Beat’em up a incontri (Violence Fight non conta) sono stati spesi quintali di inchiostro con il quale si è parlato davvero di qualsiasi sfaccettatura, dalla bellezza degli sprite all’innovazione nel gameplay fino a cose più leggere, come il piatto preferito di Ryu o la ricetta per un bidet elettrizzante consigliata da Blanka. 

Quindi non parlerò di nessuno di questi aspetti, ché tanto è già stato scritto il mondo e non credo potrei aggiungere qualcosa di utile o inedito alla discussione. Piuttosto, vi parlerò di come Street Fighter 2 ha impattato sulla mia vita di adolescente e mi ha accompagnato nella vita adulta, definendomi come solo OutRun fece prima di lui.

Ricordo come se fosse oggi il primissimo incontro. Correva l’estate del 1991 ed ero un bambino che aveva appena compiuto 9 anni. Leggevo il numero 7 di C+VG di Luglio/Agosto, perdendomi come ogni mese fra le pagine delle riviste dell’epoca. 

 

 

Mi piacevano davvero molto le riviste di videogiochi.

I colori, lo stile di scrittura che un po’ ho ereditato e che, volente o nolente ripropongo nei pezzi che leggete qui, tutta quella mitologia interna che i redattori mettevano nero su bianco fatta di soprannomi, situazioni divertenti e lettere improbabili della posta riuscivano a togliere tempo al gioco per dedicarlo alla lettura. E poi, era sempre bello sapere per primi le cose e fungere da “gazzettino ufficiale” per tutti i bimbi della mia classe che, già ai tempi, mi chiedevano consigli su questo o quel gioco prima di far spendere una bella centomila ai genitori. 

Fra le varie recensioni e preview di quel mese che attirarono la mia attenzione c’era anche quella di Sonic per Mega Drive, ma questa è un’altra storia. Nelle ultime pagine del giornalino pubblicato dalla Jackson svettava la rubrica “Arcade Action” che, in questo esatto numero, presentava la review di SF2 del buon Maurizio “IUR” Miccoli.

Nonostante le pochissime parole che descrivevano in maniera diretta il gameplay, i personaggi e poco altro, rimasi colpito dagli screen: sprite coloratissimi e dettagliati, fondali da urlo e un’atmosfera che gridava Bloodsport da tutti i pori.

 

 

 

Nei due mesi successivi ripresi quelle immagini più e più volte, fantasticando su come sarebbe stato il gioco dal vivo e sperando che, prima o poi, qualche sala giochi della mia città lo mettesse su, dandomi la possibilità di provarlo in prima persona. Cosa che accadde a settembre.

Era una fresca serata ed ero con i miei sul lungomare a fare una passeggiata, in una delle ultime uscite prima della ripresa delle scuole che portava ad una inevitabile riduzione delle occasioni di star fuori dopo il calar del sole. Dopo un po’ che si camminava, non ricordo come, riuscii a convincerli che sarebbe stato bello chiudere la giornata con una visita in notturna alla saletta li vicino, dove mi accompagnavano quasi ogni domenica mattina. 

Appena arrivati alle porte di questo piccolo avamposto che non contava più di una quindicina di Coin-OP, notai subito che c’era qualcosa di strano. Il 90% dei cabinati erano liberi e solo uno aveva un capannello di 7/8 persone intorno che guardavano.  Da buon pargolo curioso quale ero, mi avvicinai senza però riuscire a vedere molto.

Anche se dentro mi sentivo già allora un fiero guerriero, ero un tappo di un metro e trenta a cui mancava proprio la fisicità per farsi strada in mezzo alla gente in uno spazio così ristretto. Fortunatamente, le mie orecchie da elfo ci sentivano più che bene e cominciai a captare, nel rumoreggiare del luogo, dei suoni che nemmeno troppo tempo dopo avrebbero avuto un posto nella leggenda. 

Fra un “ADUUUKEN” e un “ATTAKENSPLUGEN!”, riuscii a vedere finalmente qualcosa oltre quella coltre umana. Era proprio lui, davanti a me, il desiderio di una intera estate finalmente davanti ai miei occhietti occhialuti. 

La coda si era un po’ assottigliata e mi trovavo vicino ad un ragazzetto poco più grande che stava giocando, diviso fra il gufargliela perché perdesse il più velocemente possibile così da lasciarmi il posto e l’attendere pazientemente il mio momento, osservando la partita per capirne di più.

Subito capii che le due cose non erano incompatibili. Mentre guardavo con attenzione, la mia mente cantava cori da stadio che inneggiavano alla vittoria dell’Altletico Dhalsim. Dopo meno di un minuto, l’improvvisata macumba sortii l’effetto sperato e mi ritrovai tète a tète con il cabinato.

Notai immediatamente che sulla pulsantiera mancava la metà dei tasti di cui parlava il buon Miccoli ma, arrivato a quel punto, non importava un granché. Gustai per la prima volta quella presentazione che ora farebbe incazzare mezzo mondo e misi dentro il gettone.

Feci un giro intero dei personaggi prima di fermarmi proprio su Blanka, il mostro verde che mangia saette e caga fulmini e schiacciai il pulsante per sceglierlo. Adesso, non ricordo bene quelle prime partite se non per il dettaglio che, ad un certo punto, riuscii a giocare il fantomatico bonus stage dell’automobile.

Quella sera tornai a casa con qualcosa di diverso dentro. Nel bene e nel male, sapevo che la mia vita non sarebbe stata più la stessa ed ebbi, seppur così piccolo, il sospetto che sarebbe stato così per Dio solo sa quanta altra gente.

Street Fighter 2 entro nel giro di pochissimo nella cultura popolare di un’intera generazione. Non c’era nessun ragazzino o adolescente che non conoscesse Ken, Ryu, Mister Bison (all’epoca lo si chiamava così!) e tutti gli altri pittoreschi personaggi che componevano il roster del picchiaduro Capcom. 

A nemmeno un anno dalla sua uscita, ogni singolo quartiere della mia città aveva un bar nel quale poterlo trovare, raramente con il cabinato originale e il più delle volte in un mobile con leve consumate dalle troppe mezzelune fatte. Perché se c’è un gioco che mette a dura prova anche i pulsanti Sanwa, quello è proprio Street Fighter 2.

E nemmeno finito di godersi il gioco che già era arrivata in Italia la Champion’s Edition, dove si potevano fare i doppi con lo stesso personaggio, le conversioni per Super Nintendo prima, Megadrive dopo e a seguire pure per dei sistemi che non avrebbero potuto farlo girare nemmeno morti, tipo il Commodore 64 e infatti il gioco li faceva schifo al maiale.

 

Ma vuoi mettere avere Street Fighter 2 in casa?

 

E poi è arrivato il film con Van Damme e Raul Julia, i manga, l’anime con la canzone dei Calci In Faccia dei Dhamm che spacca di brutto ancora adesso e millemila altre cose che, nel bene o nel male, sono ricordi piantati nella memoria e che non ci sarebbero mai potuti essere se non fosse stato per Capcom.

 

 

Ricordo le sfide a casa o in saletta con gli amici, alcuni dei quali purtroppo non ci sono più, le rosicate perché si perdeva con quello che ti stava sul cazzo e gli allenamenti alla Rocky per batterlo la volta dopo, le corse all’uscita di scuola per andare al baretto prima di tornare a casa e il cuore a mille la prima volta che ho visto comparire Balrog, Vega, Sagat e Bison sulla mappa.

Insomma, Street Fighter 2 non è solo un gioco ma un compagno che mi tiene la mano da più di 30 anni. Non ci ritorno più su come un tempo ma so che è sempre lì, pronto ad aspettarmi per mettere alla prova i miei riflessi e le mie mani, forse non più buone come un tempo, ma sempre pronte a piazzare quello Shoryuken all’ultimo istante che ti fa venire il sorrisino al lato della bocca per la soddisfazione.

E con questo vi ho detto tutto. Ora prendete questa storia, fatene tesoro e…e niente. Per una volta rimanete pure qui, che magari ci scappa un doppio.

 

 

 

 

 


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